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TU CHE ENTRI NEL CALL-CENTER LASCIA OGNI SPERANZA

Il mondo dei call-center è un universo parallelo, l’universo dei giovani precari e sottopagati.
Un’occupazione post laurea, intrapresa con la speranza che sia temporanea, nell’attesa di un lavoro che permetta loro di realizzarsi.
Oseremo definirlo un psico-dramma collettivo che gli operatori di call-center vivono subendo forti pressioni psicologiche dai superiori.
Spronati quasi ad arrivare ad un sottile ricatto “se non vendi, sei fuori”, oppure sottoposti a periodi di prova che, in realtà servono a smaltire il lavoro in arretrato per mancanza di personale, naturalmente in nero e senza retribuzione.
Una prassi che viene accettata con rassegnazione cronica, perché questa è la prima (se non l’ultima) offerta del mercato del lavoro, i giovani sono consapevoli dei trattamenti retributivi al di sotto della paga sindacale e si adeguano con sottomissione per paura del licenziamento.
Adesso lo spettro del licenziamento non arriva dal rendimento delle performance, ma dalla grave crisi economica che ha raggiunto anche questo settore. Le cifre della crisi del settore delle telecomunicazioni sono indicatori di come siano estremamente urgenti, la riapertura dei tavoli per la concertazione e le riforme contrattuali che tutelino i giovani.
Le conseguenze che oggi i precari dei call-center in autosurging (quando il lavoro di assistenza viene svolto all’esterno dell’azienda) subiscono sono imputabili a responsabilità istituzionali e alla delocalizzazione delle attività all’estero, dove i costi del lavoro sono notevolmente inferiori a quelli italiani.
Ancora una volta il Sud e soprattutto la Sicilia, rimangono ancorati al sottosviluppo, in realtà i dati rilevano come il Sud detiene il primato con il 73% del personale a rischio licenziamento.
Solo la Regione Sicilia conta ben 5500 posti che nel breve termine potrebbero rimanere vuoti e che andrebbero a sommarsi alle centinaia di licenziamenti già effettuati.
E’ lecito chiedersi come possa essere in crisi un settore ampiamente finanziato dai fondi comunitari e da quelli italiani e perché può decidere liberamente di trasferire le attività in aree geografiche extracomunitarie? Eppure si continuano ad erogare finanziamenti per l’apertura di nuovi call-center, che prima o poi emigreranno verso tessuti economici meno costosi, tralasciando un particolare, che le risorse umane non possono emigrare con loro.
Le possibili soluzioni sono al vaglio delle istituzioni, la prima emergenza è stabilizzare i precari e rivedere il rapporto squilibrato fra il costo del lavoro e le aziende, sperando di giungere ad un patto tra produttori, sindacati e governo.
Successivamente bisogna rivedere tutte le forme di somministrazione del lavoro, perché anche qui vi è un rapporto squilibrato fra prestazione e retribuzione, soprattutto se i call-center si trovano ad operare su tessuti economici in cui l’illegalità e le retribuzioni al di sotto dei parametri sindacali sono abituali e non si rispettano i protocolli d’intesa firmati fra le parti.
L'Ugl Telecomunicazioni punta i riflettori sul lavoro nei call-center del Mezzogiorno.
All’inizio del 2010 il sindacato ha incontrato i giornalisti a Palermo.
Erano presenti il segretario nazionale Stefano Conti, Daniele Ruisi e Antonio Vitti, rispettivamente segretario regionale e provinciale della Federazione Telecomunicazioni del sindacato.
Conti ha chiesto "regole chiare e piú trasparenza", "spesso i lavoratori precari vengono stabilizzati, ma solo part-time".
Inoltre, spiega il segretario nazionale, "i lavoratori sono spesso sottopagati", determinandosi in tal modo ai danni delle aziende che invece le regole le rispettano una situazione di "concorrenza sleale".
L’UGL porterà avanti le istanze di tutti i precari combattendo le loro battaglie, perché il sindacato sa bene che se perde questa battaglia è una sconfitta per tutti.

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