“Diciamo basta al messaggio fuorviante che
il Mediterraneo è in uno stato pietoso e senza pesci per cui bisogna limitare
la pesca ed ‘eliminare i pescatori’. Non è così, ci siamo opposti nel passato
ed oggi i fatti ci danno ragione perché aumenta la coscienza comune che vi sono
altre cause che incidono sulla riduzione del pescato. Il pescatore siciliano
finalmente scende dal banco degli imputati e Bruxelles sembra adesso meno
lontana dalla realtà peschereccia del Mar Mediterraneo”.
A dichiararlo Giuseppe Messina,
Responsabile regionale dell’Ugl Sicilia partecipando ai lavori del “Seminario
di alto livello sullo stato degli stock nel Mediterraneo e sull’approccio della
PCP” che si è svolto a Catania il 9 e 10 febbraio scorsi.
“Il dibattito sullo stato degli stock
ittici nel Mediterraneo è un passo in avanti importante nella direzione che
l’Ugl sostiene da anni – dice il sindacalista - convinti come siamo che le
misure comunitarie avranno efficacia limitata fino a quando non verranno estese
ai Paesi terzi dato che il Mediterraneo costituisce lo 0,8 per cento dei mari a
livello mondiale ed è circondato da 27 Paesi che sfruttano le risorse, di cui
solamente sette dell’Unione Europea”.
“Siamo soddisfatti per come si è
sviluppato il dibattito alla due giorni di confronto ai massimi livelli sulla
Politica Comune della Pesca (PCP) – sostiene Messina - perché
finalmente a livello comunitario è maturato il convincimento che la colpa del
fallimento delle politiche degli ultimi trent’anni nel Mediterraneo, che hanno
ridotto gli stock ittici e peggiorato lo stato di salute dell’ambiente marino,
non è più solamente dei pescatori e ringraziamo il Sottosegretario alla Pesca
Giuseppe Castiglione che ha voluto con forza riunire intorno ad un tavolo il
mondo della pesca ai massimi livelli europei”.
“Dal mondo della scienza qualcuno ha
tentato di far passare il messaggio che il Mediterraneo sta morendo – prosegue
– e bene ha fatto il professore Fabio Fiorentino del CNR che, intervenendo ai
lavori, ha dichiarato che nel Mediterraneo ‘lo stato delle risorse non è
tragico ma preoccupante’. La verità è che l’Unione Europea deve investire di
più sulla ricerca per raccogliere dati e informazioni a tutto tondo al fine di
monitorare complessivamente tutti i fenomeni che possono incidere sulla salute
del mare”.
“Non ci stiamo alle polemiche di certa
parte del mondo scientifico – incalza il Responsabile regionale dell’Ugl – la
pesca è il settimo settore più regolamentato al mondo e precede comparti come
la farmaceutica che è al nono posto in questa speciale classifica di attività
non libera ma sottoposta a specifici controlli. Controlli che sono
indispensabili per il raggiungimento dell’obiettivo comunitario del ripristino
degli stock ittici entro il 2020. E per farlo dobbiamo cooperare tutti, nessuno
escluso”.
“Se da un lato Philippe Cury, intervenendo
sul tema dei possibili scenari futuri degli stock ittici dei piccoli pelagici
ha sostenuto che nel Golfo di Lione non esiste una correlazione tra la
diminuzione degli stock di sardine e l’aumento della presenza dei tonni –
racconta Messina – siamo d’accordo con il dirigente generale del Dipartimento
Pesca della Regione siciliana, Dario Cartabellotta, che ha replicato
sottolineando che ‘in Italia il tonno rosso non mangia ‘popcorn’ e che esiste, invece,
un serio problema nel Mediterraneo legato alla massiccia presenza di tonno
rosso ed alla contestuale riduzione degli stock di piccoli pelagici che spinge
ad interrogarci sulle misure di accesso alla pesca dei grandi pelagici e sul
sistema Tac (totali ammissibili di catture)”.
Per Messina “la salvaguardia ambientale
del Mediterraneo non può passare solo dalla riduzione dello sforzo di pesca,
l’Italia e la Sicilia, in particolare hanno già ridotto, negli ultimi quindici
anni, del 60 per cento sia la flotta che i pescatori occupati. Non è questa la
giusta ricetta per raggiungere il Massimo Rendimento Sostenibile (MSY) perché
occorre fare i conti con altri fattori che incidono sugli equilibri
complessivi: cambiamento climatico, inquinamento, sovrappopolazione della
fascia costiera dove avviene il reclutamento di molte specie ittiche ad alto
valore commerciale, pesca illegale, presenza di specie ittiche aliene, traffici
marittimi e raddoppio del Canale di Suez, scarti liquidi e solidi, inquinamento
acustico”.
Concordiamo con Nino Accetta, Presidente
regionale di Federcoopesca di ConfCooperative, quando afferma che “occorre
rivedere le misure di accesso alle risorse per la sostenibilità ecologica ed
economica della pesca, con stock ittici che si riproducono in un approccio
integrato ambientale e socio-economico, con misure comunitarie collettive
che devono essere applicate anche nei Paesi extracomunitari che si affacciano
sul Mar Mediterraneo, con Piani di Gestione condivisi da tutti”. E siamo
d’accordo anche su fatto che “Prima di parlare di ‘quantitativi ammissibili di
cattura’ nel Mediterraneo servono maggiori dati conoscitivi e una maggiore
conoscenza di tutti i fenomeni che incidono nel delicato ecosistema
mediterraneo così come nella scelta delle misure da attuare siamo per un
approccio ‘bottom-up’ che privilegi il rapporto con i pescatori per
individuare misure specifiche per una pesca sostenibile”.
“Dai lavori svoltisi a Malta lo scorso 4 e
5 febbraio sul tema: ‘Economic advice in fisheries management’ – conclude
Messina - è emerso che un pescatore a mare genera 7 lavoratori a terra e,
quindi, la Sicilia con 3 mila natanti può generare 100 mila posti di lavoro non
si può non essere concordi nel sostenere che la pesca è importante per
l’economia non solo della Sicilia ma di tutti gli Stati che si affacciano nel
Mediterraneo. Ed allora, si alle misure condivise in una logica sistemica che
guardi al pescatore e ne tuteli il reddito per cooperare tutti al
raggiungimento degli obiettivi della PCP entro il 2020”.
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